Pangenoma, viaggio tra evoluzione e nuove prospettive

Pangenoma, viaggio tra evoluzione e nuove prospettive

Contributo di Vincenza Colonna e Mauro Mandrioli per AGI – Associazione Genetica Italiana

Il genoma è l’insieme dei geni contenuti nel nucleo di ogni cellula, è costituito da DNA e conferisce a ogni individuo la sua specificità. Da qualche tempo, però, accanto alla parola genoma, ne sentiamo sempre più spesso un’altra: pangenoma. Che cos’è il pangenoma? Quali informazioni è in grado di rivelarci? Perché è importante? Per orientarci in questa affascinante materia abbiamo chiesto aiuto a Vincenza Colonna, (Consiglio Nazionale delle Ricerche e University of Tennessee) e Mauro Mandrioli (Università di Modena e Reggio Emilia).

Cosa è il pangenoma?

Il pangenoma è l’intero insieme dei geni e delle loro varianti che possono essere identificate in una data specie

Divenuto molto comune negli ultimi anni grazie allo studio del genoma umano, il pangenoma trae in realtà la sua origine dallo studio molecolare dei procarioti. In questo caso, ceppi di una stessa specie possono differire per la presenza o meno di interi geni, per cui si distinguono una parte ‘core’ presente in tutti i ceppi e una parte accessoria, variabile da ceppo a ceppo. 

Il pangenoma comprende entrambe le parti e pertanto ambisce a rappresentare tutta la possibile variabilità genomica osservata in una specie, con il limite che una rappresentazione completa potrà essere ottenuta solo sequenziando ogni singolo genoma di una specie.

Quali informazioni ci rivela?

Grazie agli enormi sviluppi tecnologici nel campo della genomica e alla riduzione dei costi del sequenziamento del DNA, è oggi possibile pensare di studiare il pangenoma non solo di procarioti, ma anche di eucarioti

Questo ha un vantaggio: le specie eucariotiche sono solitamente meglio definite e meno variabili dei ceppi microbici, così che la ricostruzione del pangenoma viene condotta comparando popolazioni e/o varietà. Ciò rende possibile studiare non solo i geni presenti e le loro varianti alleliche, ma anche eventuali variazioni strutturali, intese come cambiamenti su larga scala nella struttura del genoma, ad esempio delezioni, duplicazioni, inversioni e traslocazioni. 

Il raggiungimento di questo grado di dettaglio ha una portata enorme: da una parte ci permette di conoscere variazioni genetiche intervenute durante l’evoluzione della nostra specie, dall’altra comporta un grande progresso in campo biomedico. Analizzando il quadro genetico di un individuo in relazione a un quadro d’insieme, è possibile individuare le variazioni legate a diverse malattie, più o meno rare, facilitando così la diagnosi e, in futuro, l’individuazione di terapie mirate e personalizzate.

Dal pangenoma umano alle scoperte sull’infertilità

In aggiunta all’aumentata capacità di produrre sequenze a basso costo, nuovi sviluppi computazionali hanno permesso di assemblare il primo pangenoma umano, composto di 47 genomi diploidi, ovvero 94 copie del genoma umano, come annunciato lo scorso anno in un articolo della rivista Nature  dal gruppo internazionale di studio Human Pangenome Reference Consortium

A questo risultato ha contribuito anche il gruppo coordinato dalla Prof.ssa Vincenza Colonna (Consiglio Nazionale delle Ricerche e University of Tennessee), che ha studiato la struttura genetica dei partecipanti allo studio utilizzando parti del genoma umano sequenziate per la prima volta. “Si tratta del braccio corto dei cromosomi acrocentrici, – spiega Colonna – ovvero delle parti del genoma composte da sequenze ripetute, impossibili da leggere con la vecchia tecnologia di sequenziamento”. Lo studio è stato possibile grazie all’utilizzo della tecnologia di sequenziamento di terza generazione.

Il gruppo della Prof. Colonna ha dimostrato che in queste regioni le differenze tra individui di origine geografica diversa si appiattiscono rispetto al resto del genoma. Un altro studio parallelo, condotto in collaborazione con il gruppo del Prof. Garrison (University of Tennessee) e pubblicato nella stessa rivista, ha poi dimostrato che in queste regioni avvengono scambi di sequenza genomica, ovvero ricombinazioni, tra cromosomi non corrispondenti. 

“L’ovulo che ci ha generati contiene una sola copia del genoma di nostra madre a fronte delle due che la mamma aveva ricevuto dal nonno e dalla nonna e così lo spermatozoo. Prima però di separarsi queste due coppie si scambiano dei pezzi in regioni corrispondenti per creare variabilità genetica, la ragione per cui somigliamo ai nostri avi ma non troppo – commenta Colonna -. Quello che noi abbiamo contribuito a dimostrare è che in alcune parti del genoma, ossia il braccio corto dei cromosomi acrocentrici, questi scambi avvengono anche tra regioni non corrispondenti o non-omologhe come si dice in gergo genomico, e talvolta si risolvono in configurazioni del genoma che sono compatibili con la vita ma provocano infertilità.” 

Analizzando i pangenomi è divenuto ancora più evidente il fatto che i genomi degli individui di una stessa specie non sono simili:  individui diversi possono avere composizioni genomiche diverse, a seguito di ricombinazioni genetiche e mutazioni su larga scala scala. Ciò significa che anche il nostro genoma è esternamente variabile tra individui, anche se siamo tutti membri della stessa specie. 

La pangenomica può quindi divenire un potente strumento per comprendere la nostra diversità genomica con l’obiettivo di comprendere meglio le basi genetiche delle malattie.

Il pangenoma delle piante al servizio dell’agricoltura

Lo studio del pangenoma è particolarmente interessante anche in genetica vegetale perché ci permette di capire le peculiarità delle numerose varietà coltivate per le diverse specie di interesse agronomico. 

Nel corso degli ultimi 10.000 anni – spiega il Prof. Mauro Mandrioli (Università di Modena e Reggio Emilia) – la nostra specie ha selezionato le piante impiegate in agricoltura, migliorandone progressivamente la produttività. A causa dei cambiamenti climatici, le varietà che coltiviamo stanno divenendo progressivamente meno produttive. In parallelo, la diffusione di nuovi patogeni e parassiti, favorita dalla globalizzazione, mette oggi a rischio numerose produzioni alimentari, motivo per cui servono, già adesso, nuove varietà.” Ma come produrle? Dove trovare le mutazioni che servono per avere varietà più resistenti e produttive? 

La risposta viene dalla ricostruzione della storia genetica delle specie che coltiviamo, che ci spiega come una specie vegetale ha acquisito determinate caratteristiche e ci aiuta anche a capire le differenze che esistono tra le varietà coltivate e quelle selvatiche.

Capire come le specie si sono originate ed evolute, a partire dalla conoscenza del loro luogo di origine, – spiega Mandrioli – ci permette di identificare geni e/o mutazioni da inserire nelle varietà per noi più interessanti o di pianificare incroci mirati per creare nuove varietà o “aggiornare” a livello genetico quelle già esistenti.” 

Dalla pangenomica alla tazzina: svelati i segreti del caffè

Un eccellente esempio di tale applicazione della pangenomica è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications dal gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Michele Morgante (Università di Udine). Lo studio riguarda la pianta del caffè Coffea arabica, una delle due specie da cui è ottenuto il caffè che troviamo in  commercio. Grazie allo studio del suo genoma, è stato possibile osservare che questa specie si è generata dall’incrocio fra i progenitori della specie Coffea canephora (nota come Robusta) e un’altra specie di caffè a essa vicina, la Coffea eugenioides.  Lo studio ha permesso, inoltre, di capire che nella specie oggi coltivata sono avvenuti numerosi riarrangiamenti strutturali (aneuploidie, delezioni e duplicazioni) dovuti a scambi tra cromosomi delle due specie progenitrici canephora e eugenioides.

I dati ottenuti, grazie all’approccio pangenomico, ci mostrano quindi che, in assenza di numerose mutazioni geniche disponibili all’interno di una specie (come osservato nel caffè), i riarrangiamenti genomici possono rappresentare un’importante fonte di diversità, perché influenzano sia il numero di geni presenti che i loro livelli di espressione. 

Pangenomica in campo, tra evoluzione e sostenibilità alimentare

La pangenomica in ambito vegetale può fornire una mappa per studiare l’evoluzione di una specie rispetto ad altre. Grazie ad essa si potranno rendere evidenti le tante vie con cui i genomi sono stati riarrangiati per dare origine a quelle “infinite forme, bellissime e meravigliose”, che avevano affascinato il naturalista Charles Darwin.

Oltre alle applicazioni in ambito evolutivo, la pangenomica può diventare un prezioso alleato per la sostenibilità alimentare fornendo strumenti in grado di guidare la selezione di varietà più resistenti a patogeni e resilienti rispetto alle variazioni climatiche.