di Alessandro Vitale (Società Italiana di Genetica Agraria).
Da 10.000 anni l’agricoltura ha continuamente modificato l’aspetto della Terra e la struttura sociale dell’umanità, ma soprattutto ha nutrito una popolazione che ora sta raggiungendo gli 8 miliardi, una dimensione neanche lontanamente sfamabile cacciando e raccogliendo le piante selvatiche.
Quasi nessuna delle piante coltivate oggi assomiglia, seppur visivamente, ai progenitori selvatici da cui origina. Quando non si ipotizzava nemmeno l’esistenza di geni, i primi agricoltori cominciarono a utilizzare variazioni casuali in alcune caratteristiche delle piante selvatiche, che le rendevano maggiormente adatte alla coltivazione. Il frumento è un buon esempio.
Come l’uomo scoprì la variabilità genetica nel frumento.
Migliaia di anni fa, i primi agricoltori scoprirono casualmente e adottarono per la coltivazione alcune piante di frumento «diverse», ora diremmo mutate, che non disperdono al suolo i semi maturi e dunque ne facilitano la raccolta: una mutazione genetica negativa per le piante selvatiche fu la prima grande conquista dell’agricoltura.
Per migliaia di anni si sono poi fatti lenti progressi, sempre basati su osservazioni sul campo, che hanno cominciato ad accelerare 150 anni fa con la si scoperta delle leggi della genetica. I «grani antichi» ora di moda sono in realtà storicamente moderni: ottenuti un secolo fa grazie al lavoro di incroci dei genetisti agrari – uno dei pionieri è stato l’italiano Nazareno Strampelli – producono molto di più e si ammalano meno rispetto a quelli coltivati per migliaia di anni.
I vantaggi: adattare le piante all’ambiente piuttosto che l’ambiente alle piante.
Ma anche i «grani antichi» non erano privi di problemi: uno importante, per esempio, è che le piante erano piuttosto alte e dunque soggette a perdita del raccolto per le intemperie. Per questo la selezione di nuove varietà, con l’abbassamento ulteriore della taglia ottenuto sessant’anni fa, è stato premiato con il Premio Nobel per la pace nel 1970. Ma il miglioramento non si ferma mai: nuove esigenze e sfide ambientali richiedono un lavoro continuo, per mantenere le caratteristiche positive ed eliminare i principali difetti, e la forza della genetica agraria è che adatta le piante all’ambiente e non l’ambiente alle piante.
Così, l’efficienza del frumento nell’utilizzo della luce e dei nutrimenti del suolo, e dunque l’impatto sull’ambiente, e la sua qualità nutrizionale possono e devono essere migliorati. Si potrebbero fare molti altri esempi simili per tutte le piante coltivate.
Gli esseri viventi non smettono mai di mutare.
Abbiamo a disposizione una grande variabilità genetica, dovuta al fatto che gli esseri viventi non cessano mai di mutare. Anche grazie al contributo fondamentale dei genetisti agrari italiani, ai cui studi e alla cui formazione la Società Italiana di Genetica Agraria fornisce massimo sostegno sin dalla sua fondazione nel 1954, questa biodiversità è caratterizzata e valorizzata sempre più accuratamente.
Le moderne tecnologie genetiche ci permettono ora di sceglierne con una nuova precisione il meglio, recuperando con l’editing genomico – che indichiamo in agricoltura come Tecnologie di Evoluzione Assistita o TEA – anche importanti caratteristiche utili delle specie selvatiche (queste sì, davvero antiche), perse durante la domesticazione delle piante e i successivi millenni di coltivazioni.
I pregiudizi sulla scienza nella cultura popolare (e nella politica).
«Gli esperti ci hanno stufato» è stato uno slogan di grande successo nel nuovo secolo. Pensavamo che 2 milioni di morti in meno di un anno per un solo patogeno fosse una faccenda da pandemie del passato, che al giorno d’oggi non potesse interessare un Paese sviluppato come il nostro. Dal gennaio 2020 ci siamo accorti che per fermare un virus inaspettato da tutti (meno che dagli esperti di virus ed epidemie) occorreva la scienza, e dunque gli esperti: SÌ-scienza è meglio di NO-vax.
Conferendo il Premio Nobel 2020 per la chimica alle scienziate che hanno inventato l’editing genomico, gli accademici svedesi ne hanno sottolineato l’importanza per il futuro dell’agricoltura. Tuttavia, nel gennaio 2021 la commissione Agricoltura della Camera si è ancora una volta piegata alla propaganda anti-scienza, sostenendo che i prodotti ottenuti mediante editing genomico comportano «elevati rischi per l’ambiente e la salute umana». Dimenticando che questi rischi «elevati» sono gli stessi, o forse minori, di ogni nuova varietà prodotta tradizionalmente e approvata ogni anno per la coltivazione: anche queste sono tutte il risultato di mutazioni.
La mitizzazione del «come una volta» può affascinare, ma ogni tradizione è nata come innovazione: stiamo molto attenti all’odio seminato per la genetica contemporanea in agricoltura. Le varietà coltivate devono essere giudicate per quello che sono, non per il metodo usato per ottenerle. L’abbondanza di alimenti, come la nostra buona salute, non è garantita magicamente per sempre in un ambiente che cambia in continuazione, anche in modi imprevedibili; e l’alimentazione può e deve migliorare. Per un’agricoltura sostenibile abbiamo bisogno del contributo di tutti: genetisti e chimici agrari, biologi e patologi vegetali, sostenuti da Società scientifiche che fanno parte di FISV, ma anche ingegneri, esperti di satelliti e meteorologia. E naturalmente di chi si occupa di diseguaglianze sociali ed economiche. Non possiamo, per pregiudizi irrazionali, permetterci il lusso di rinunciare a nessuno di questi apporti: SÌ-scienza è meglio di NO-editing genomico.