di Emiliano Giardina (Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Fondazione Santa Lucia IRCCS, Societa Italiana di Genetica Umana – SIGU).
Nel DNA le informazioni sulla salute dell’uomo.
Le continue evoluzioni tecnologiche in ambito genomico consentono oggi analisi fino a qualche tempo fa impensabili. Basti pensare che è possibile ottenere l’intera sequenza del DNA di un uomo in pochissimi giorni. L’enorme quantità di dati genomici che vengono generati nei singoli esperimenti può essere utilizzata per diverse finalità: diagnostiche, per comprendere la malattia di cui soffre un determinato paziente, screening, per determinare lo status di portatore sano di malattie genetiche recessive, farmacogenetiche, per determinare la risposta alle terapie in termini di efficacia e di sicurezza, predittive, per calcolare il rischio probabilistico individuale di sviluppare patologie comuni.
Il genoma è testimone nelle scene del crimine.
Accanto alle finalità sanitarie l’analisi del DNA è costantemente utilizzata in ambito forense per rilevare la presenza di DNA all’interno di una scena di un crimine e su oggetti utili per la ricostruzione della dinamica dei fatti. Tale branca della genetica prende il nome di genetica forense e raggiunge spesso un notevole clamore mediatico che a volte ne banalizza, generalizza e mortifica il significato scientifico.
L’analisi del DNA ad uso forense può essere utilizzata per due differenti finalità: la conferma di un’ipotesi investigativa, ad esempio attraverso la verifica della presenza del DNA di un individuo in un determinato luogo o su uno specifico oggetto e il supporto alle indagini nel caso in cui sia stato rilevato un DNA sulla scena del crimine ma non vi siano sospettati.
In questi casi l’analisi del DNA può fornire utili informazioni inerenti le caratteristiche fenotipiche del soggetto che ha lasciato quella traccia (colore degli occhi, dei capelli e della pelle) e indicazioni della possibile popolazione di appartenenza dell’individuo da ricercare. Il progresso scientifico cui abbiamo assistito anche in ambito forense consente oggi di analizzare tracce biologiche composte da pochissime cellule, invisibili ad occhio nudo, garantendo ottime possibilità di successo delle attività investigative.
I test genetici però non predicono la predisposizione a comportamenti criminali.
Tuttavia, occorre considerare che il DNA non determina la colpevolezza dei soggetti bensì rileva la presenza di individui in determinati contesti. Tale presenza può determinare la colpevolezza qualora non possa essere giustificata in modo esaustivo. La scarsa conoscenza dei limiti dell’analisi del DNA sia in ambito diagnostico che in ambito forense ha causato lo sviluppo e l’offerta al pubblico di test genetici privi di utilità e delle necessarie caratteristiche di qualità. Un esempio è offerto dallo sviluppo di test genetici finalizzati alla predizione del comportamento criminale. Ogni giorno vengono pubblicati articoli scientifici che riportano l’associazione tra varianti genetiche e malattie non mendeliane, comportamenti, abitudini.
Questi studi hanno consentito e consentono di accrescere le nostre conoscenze delle basi biologiche delle malattie umane e dei comportamenti sia patologici che fisiologici, ma al momento non possono essere utilizzati quali marcatori predittivi di comportamento. Questi sono studi volti all’identificazione di varianti genetiche più frequenti nei soggetti che hanno una determinata patologia, comportamento o abitudine rispetto ai soggetti che non hanno tali caratteristiche.
Dal momento che nessuna variante genetica è peculiare di un determinato gruppo di individui o di popolazione (infatti la genetica ha dimostrato che le razze non esistono!), questi studi hanno soltanto una rilevanza statistica e non deterministica.
A educare un individuo alla violenza è anche l’ambiente in cui cresce.
È questo il motivo, ad esempio, per il quale sono ancora poche le varianti genetiche utilizzate in ambito clinico per la determinazione dei rischi individuali di malattie croniche, degenerative e legate all’età. Esistono studi che hanno rilevato l’associazione tra comportamenti violenti (anche l’uso delle armi) e determinate sequenze di DNA, ma quelle stesse sequenze sono rilevate e rilevabili in moltissime persone che non hanno comportamenti anomali e/o violenti.
Non è pertanto possibile utilizzare questi dati per determinare la predisposizione al comportamento violento e/o aggressivo. L’uomo in assenza di malattie congenite nasce affettivamente e mentalmente sano, può ammalarsi nel corso del tempo in seguito ad esposizione a fattori esogeni quali stress affettivi, ambienti familiari degradati o in seguito ad abusi subiti di varia natura. A conferma di ciò non sono mai state trovate varianti genetiche associate alla depressione, poiché tali disturbi sono ampiamente dipendenti dai fattori ambientali (e quindi dall’epigenoma).
La genetica forense consente oggi di fare chiarezza sulle dinamiche di crimini ed aiuta gli investigatori nell’identificazione dei responsabili. È bene però che ciascuno di noi rammenti che non esistono basi genetiche del criminale per nascita: è sempre la società e i suoi ambienti degradati ad essere l’ultima responsabile della diffusa criminalità.