di Sabrina Sarrocco (Società Italiana di Patologia Vegetale).
Nel marzo del 1892 usciva il numero 1 della Rivista di Patologia Vegetale (oggi Journal of Plant Pathology), seconda rivista al mondo, in ordine temporale, ad occuparsi delle malattie delle piante. Nella Prefazione, i due Direttori (Augusto Napoleone Berlese e Antonio Berlese), specificavano che lo scopo della rivista era «di illustrare i parassiti delle piante, le malattie che producono, e portare sul campo pratico, oltreché le cognizione suddette, anche i modi efficaci a combattere convenientemente i parassiti».
Da un punto di vista storico si potrebbe risalire ancora più indietro nel tempo, ai Greci (ad es. con Teofrasto), ai Romani (ad es. con Plinio), agli Arabi (ad es. con Ibn-Al-Awam), ma possiamo ritenere che, nel passaggio dell’uomo da cacciatore-raccoglitore ad agricoltore, il processo di domesticazione delle piante abbia tenuto conto, anche, della loro suscettibilità alle malattie che, da sempre, colpiscono tutti gli esseri viventi, piante incluse.
Le malattie delle piante influiscono su quella dell’uomo.
L’uomo ha scomodato anche gli Dei per spiegare l’origine delle malattie delle piante, infatti, attorno al 700 a.C., nell’antica Roma, il giorno 25 aprile era dedicato a Rubigus, divinità della ruggine dei cereali, divenuta oggetto di culto perché, si supponeva, in grado di proteggere il frumento da queste malattie, già allora considerate un flagello per questa importante coltura.
Anche molti secoli dopo le idee non erano, poi, così chiare. Dal 1845 al 1849, l’umanità assistette alle conseguenze di un’importante epidemia passata alla storia come «la grande carestia irlandese» (An Gorta Mór), ma la teoria della generazione spontanea dei microrganismi era ancora imperante e la vera causa scatenante la malattia (l’oomicete Phytophthora infestans) fu identificata solo nel 1861 da De Bary, considerato il padre della moderna Patologia vegetale. Le conseguenze di quell’epidemia, aggravate dall’errata politica economica britannica, segnarono la storia dell’Irlanda: un milione di persone perirono e altrettante furono costrette ad emigrare.
Arrivando ai nostri giorni, non possiamo non accennare alla recente epidemia della ruggine del caffè (causata dal fungo Hemileia vastatrix) che a cavallo del primo decennio del 2000 ha letteralmente messo in ginocchio l’economia del Centro America, con conseguenze economico-sociali di proporzioni devastanti. A risentirne sono stati soprattutto i piccoli coltivatori per i quali il caffè rappresentava la fonte principale di guadagno utilizzata per acquistare cibo e per poter coltivare quelli che vengono definiti alimenti di base (staple foods), con conseguenze negative in termini di sicurezza alimentare.
E proprio la sicurezza alimentare rappresenta la sfida dei prossimi anni, con una popolazione mondiale destinata a crescere e con un divario tra paesi sviluppati e in via di sviluppo i quali, spesso, basano la loro economia su una singola coltura che, per questo, va protetta dalle avversità che possono colpirla.
Cosa può fare la Patologia vegetale?
In questa visione appare sempre più chiaro l’importante ruolo svolto dalla Patologia vegetale (non per nulla il 2020 è stato dichiarato dalla FAO l’Anno internazionale della Salute delle piante), la disciplina che studia le malattie delle piante, siano esse causate da fattori biotici (funghi, batteri, virus, viroidi e fitoplasmi) o da fattori abiotici, anche come conseguenza dei cambiamenti climatici e i metodi per contrastarle, che devono essere sempre più compatibili con l’ambiente. I cambiamenti climatici, insieme ad una globalizzazione dei commerci sempre più spinta, sono i principali responsabili dell’emergenza di nuove malattie o della ri-emergenza di malattie scomparse nel corso del tempo.
La patologia vegetale, che deriva dalla botanica e dalla fisiologia vegetale, è una disciplina che ha sempre lavorato, e continua a farlo, in un continuum di conoscenze condivise con altre quali, ad esempio, la genetica agraria, la biologia vegetale, la fisiologia vegetale e la chimica agraria e si avvale delle più moderne tecniche di laboratorio che vengono impiegate nello studio delle malattie e nella difesa delle colture, quest’ultima sempre più attenta alla sostenibilità. Negli ultimi anni, infatti, quelle che vengono definite tecniche «omiche», così come l’editing genomico, l’internet degli oggetti (IOT) e la robotica, rappresentano strumenti potenti per meglio conoscere e combattere i nemici delle piante.
La recente pandemia causata da COVID-19 ha reso evidente, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’importanza della salute delle piante e dell’ambiente, anche in relazione alla salute degli animali e dell’uomo, permettendo di evidenziare il ruolo sociale della Patologia vegetale, offrendo ai patologi vegetali nuovi stimoli per una vera e propria rivisitazione di una disciplina che proprio per le sue mille sfaccettature e per la rilevanza dei temi che affronta è più attuale che mai.
Come lavora la Società Italiana di Patologia Vegetale.
In questo ambito opera la Società Italiana di Patologia Vegetale (SIPaV), fondata nel 1992 ed erede di altre due società scientifiche, con lo scopo di promuovere le ricerche nei vari aspetti della Patologia vegetale, di diffondere le conoscenze relative alle malattie delle piante e ai loro agenti e di promuovere le collaborazioni tra cultori ed esperti operanti nel campo fitopatologico.