di Giorgio Manzi e Luca Sineo (Associazione Antropologica Italiana).
Chi era Richard Leakey
Se l’anno passato si era concluso con la scomparsa di un grande biologo – Edgar O. Wilson, che conosciamo per i suoi fondamentali contributi alla biogeografia, ma anche come eminente mirmecologo e quale fondatore della sociobiologia (cioè il programma di ricerca sull’evoluzione del comportamento sociale, che ha evidenti e controversi riflessi anche in antropologia) – l’anno nuovo non è stato da meno del precedente. Pochi giorni dopo Wilson, il 2 gennaio 2022, è mancato un altro grande della biologia, dell’antropologia e della conservazione della natura: Richard Leakey.
Grazie a Leakey la Great Rift Valley africana è diventata un laboratorio a cielo aperto, rivoluzionando lo studio dell’evoluzione umana
Potremmo definire Richard Leakey un “figlio d’arte”, avendo avuto per genitori due straordinari cacciatori di fossili e di manufatti preistorici: gli ormai leggendari Louis e Mary Leakey; quelli a cui si devono le prime ricerche paleoantropologiche in Africa orientale e, in particolare, nel sito di Olduvai, nel nord della Tanzania. Con loro, alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, le porte della Great Rift Valley africana si aprirono allo studio dell’evoluzione umana.
Richard non avrebbe voluto seguire le impronte paterne, ma poi le cose andarono diversamente grazie a due circostanze che possiamo dire storiche. La prima fu la scoperta nel 1967 del più antico fossile umano anatomicamente moderno – il primo rappresentante della nostra specie (scusate se è poco!) – nella valle del fiume Omo, nel sud dell’attuale Etiopia, ultimamente riferito a poco più di 230 mila anni fa. La seconda, a seguito di un’occasionale ricognizione aerea, è stata l’individuazione delle potenzialità per la paleoantropologia delle aree limitrofe al lago Turkana, per cui Leakey volle installare un primo campo di ricerche a Koobi Fora già nel 1968 e dove, più avanti negli anni (dopo il 2005), fece sorgere il Turkana Basin Institute: un centro stabile – con due sedi, a est e a ovest del grande lago (più grande in superficie dell’intera Liguria) – focalizzato su evoluzione, preistoria e diversità bio-culturale umana, ma anche rivolto a ricerche su sostenibilità e cambiamento climatico.
Non solo scienziato ma anche attivista contro bracconaggio e traffico d’avorio
Le scoperte che si sono succedute in quell’area richiederebbero un lungo, lunghissimo elenco, che include reperti fossili di riferimento per specie di nostri antenati e parenti estinti, come Paranthropus boisei, Homo habilis/rudolfensis e Homo ergaster; fra essi, forse il più celebre è lo scheletro denominato “Turkana boy” di circa 1 milione e 600 mila anni fa.
Ma i meriti di Richard Leakey non si limitano a questo, essendo stato coinvolto in un’intensa attività politica e amministrativa sin dalla fine degli anni ’80, quando venne nominato alla guida del Kenya Wildlife Service e iniziò la sua battaglia contro il bracconaggio e il traffico di avorio, a favore della conservazione della natura e volta a limitare la contaminazione e la stessa presenza umana almeno in alcune aree protette. Questo gli procurò molti nemici e fu probabilmente la causa dell’incidente aereo (per un presunto sabotaggio) nel quale perse entrambe le gambe, che vennero sostituite da protesi sulle quali Richard ha continuato a camminare per tutta la vita.
E il suo cammino ha incontrato anche la politica, in favore del suo amato Kenya: per cui costituì un partito politico (Safina, che in Swahili vuol dire “arca”) e divenne deputato, assumendo le funzioni di segretario di gabinetto e la direzione del servizio civile. In questa sua seconda vita ha anche diretto il Kenya National Museum e ha introdotto leggi su ciò che in Italia chiamiamo “beni culturali”, facilitando la conservazione in Africa di fossili e altri reperti preistorici e paleolitici.
Allargando l’orizzonte all’Africa orientale
Lo scenario nel quale si è svolta la vita di Richard Leakey è quello della Great Rift Valley in Africa orientale: davvero la “culla dell’umanità”.
Intendiamo con questo termine un complesso sistema di fosse tettoniche che si estendono dal Corno d’Africa – dove il Rift si incunea tra l’altopiano etiopico e quello somalo – fino al bacino del Lago Malawi – tra il nord del Mozambico e lo Zambia – circa 3.500 chilometri più a sud, avendo attraversato i territori dell’Eritrea, dell’Etiopia del Kenya e della Tanzania.
Oltre al notevole interesse geografico, geo-morfologico, climatico e paesaggistico, è questo il territorio delle grandi distese di savana del continente africano, popolate da un’impressionante varietà di forme di vita vegetale e animale, oltre che da popolazioni umane come gli Afar e i Masai. Ma, dal nostro punto di vista, questa è la vasta area dove si trovano alcuni fra i più importanti siti della paleoantropologia: località come quelle del Middle Awash, del Lago Turkana, della Ngorongoro Conservation Area (Olduvai e Laetoli) e molte altre.
È qui che si sono susseguite da decenni, proprio a partire dalle ricerche pionieristiche di Louis e Mary Leakey (genitori di Richard), alcune fra le più formidabili scoperte della paleoantropologia, comprese quelle che si debbono ad alcune (poche purtroppo) missioni di ricerca italiane.