Contributo di Alessandro Tondelli (CREA) per SIGA – Società Italiana Genetica Agraria
La biodiversità agraria è una risorsa da tutelare e valorizzare perché assicura un “serbatoio genetico” utile a migliorare la sostenibilità e la qualità delle produzioni agricole future. Oggi, grazie alle nuove tecniche di sequenziamento del DNA e ai nuovi metodi di fenotipizzazione, è possibile identificare geni e alleli portatori di caratteristiche che, oltre a migliorare la produttività agricola, contribuiscono all’aumento della biodiversità agraria.
Cosa si intende per biodiversità agraria?
La biodiversità agraria, o agrobiodiversità, rappresenta l’immensa varietà di specie vegetali, animali e microbiche accumulate nei sistemi agricoli fin dagli albori dell’agricoltura, oltre 10.000 anni fa, e la diversità genetica all’interno di queste stesse specie. È il risultato di un lungo processo evolutivo fortemente influenzato dall’uomo, capace di selezionare tra questa diversità, frutto di meccanismi naturali di mutazione ed ibridazione, gli organismi più adatti alla coltivazione nei diversi ambienti che ha colonizzato.
Quanta diversità esiste?
Il database Genesys, punto di riferimento per la diversità genetica delle piante di interesse agrario e alimentare, ad oggi riporta informazioni su 4,3 milioni di accessioni. Un’accessione è, ad esempio, un campione di semi raccolto da una popolazione specifica e diversa dalle altre. Esse sono presenti in oltre 500 Banche del germoplasma o Genebanks, centri di conservazione delle risorse genetiche sotto forma di piante, semi o tessuti vegetali.
A livello globale si contano ad esempio 510 mila diversi tipi di frumento tra specie selvatiche, popolazioni adattate a specifici ambienti (ecotipi) e varietà derivanti dalle attività umane di miglioramento genetico. Anche nel nostro Paese, il programma RGV-FAO supportato dal Masaf conserva e valorizza oltre 40 mila accessioni di cereali, ortaggi, frutta, foraggi, colture industriali, colture forestali e legnose, piante medicinali e aromatiche.
Dalla selezione delle piante migliori all’erosione genetica
Non tutte le accessioni vengono coltivate, solo una minuscola percentuale di queste arrivano al campo: la selezione di piante migliori e più produttive comporta spesso l’abbandono di quelle che l’hanno preceduta, con il rischio di perdere il loro patrimonio genetico. Questo fenomeno si chiama erosione genetica. Il Patrimonio genetico, invece, deve essere conservato, in quanto rappresenta la base per migliorare ulteriormente le piante coltivate.
L’errore più grande è, infatti, quello di considerare queste banche del germoplasma come musei, statici e intoccabili, finalizzati unicamente a conservare la diversità agraria per le generazioni future. Esse rappresentano al contrario un serbatoio di caratteri, geni e alleli utili per migliorare la sostenibilità delle produzioni agricole e per adattare le piante che coltiviamo e gli animali che alleviamo alle condizioni climatiche del futuro. Oggi più che mai è quindi centrale il tema della valorizzazione delle risorse genetiche, che passa prima di tutto attraverso una loro descrizione accurata.
Come si valorizza la biodiversità agraria?
Grazie agli avanzamenti tecnologici nel campo del sequenziamento del DNA stanno fiorendo i progetti di genomica delle Genebanks per ottenere sequenze del DNA di un numero molto elevato di genotipi all’interno di una specie, a partire dai materiali conservati nelle banche del germoplasma.
Nel campo delle piante di interesse agrario, esempi recenti in orzo, peperone e diverse altre specie hanno permesso, da una parte di decifrare la variabilità genetica intraspecifica ad una risoluzione mai raggiunta prima e di creare collezioni rappresentative di questa variabilità (dette core collections) per studi più dettagliati, dall’altra di identificare ridondanze e duplicazioni nei materiali genetici conservati e quindi facilitare il compito dei responsabili delle banche del seme nel loro mantenimento.
Allo stesso tempo, i nuovi metodi di fenotipizzazione, cioè di misurazione delle caratteristiche osservabili di un organismo, da un lato permettono di monitorare caratteri utili e ben noti quali la resistenza alle principali malattie con grande efficienza e su un numero elevatissimo di individui, dall’altro di studiare caratteri innovativi o più difficili da decifrare.
Si pensi ad esempio all’utilizzo di fotocamere dedicate montate su droni, per catturare immagini dettagliate delle piante e studiarne sviluppo, stato di salute e stress. O, ancora, ai biosensori che consentono di monitorare in continuo la composizione della linfa delle piante. Combinando i due approcci è possibile associare la variabilità a livello di DNA con quella fenotipica e trovare l’ago nel pagliaio: geni e alleli responsabili di caratteri utili o che legano una specifica pianta all’ambiente nel quale si è evoluta.
Il ruolo della biodiversità agraria nel miglioramento genetico
Già Nazareno Strampelli agli inizi del secolo scorso aveva capito l’importanza delle risorse genetiche. Il famoso genetista e agronomo, infatti, identificò nella varietà di grano giapponese Akakomugi caratteri utili quali la bassa taglia o la precocità di maturazione, e riuscì a trasferirli tramite ibridazione intraspecifica e selezione nei frumenti coltivati all’epoca in Italia.
La stessa logica è alla base dell’istituzione del moderno network europeo pubblico-privato denominato EVA che, per diversi gruppi di piante agrarie, ambisce a migliorare la conoscenza dei materiali genetici conservati nelle genebanks. L’enorme vantaggio è che oggi possiamo identificare non solo i materiali genetici portatori di caratteri utili, ma anche i geni e gli alleli responsabili di tali caratteri, con evidenti benefici per le attività di miglioramento genetico.
Grazie alle informazioni sulle sequenze del DNA e alla capacità di evidenziare fenotipi sempre più complessi, il trasferimento di questi geni tramite ibridazione o tramite le più moderne Tecnologie di Evoluzione Assistita (TEA) è infatti più preciso, efficiente, veloce.
Ad esempio, in tutti i programmi moderni di miglioramento genetico dell’orzo, le piante che portano il gene di resistenza al virus del mosaico identificato in un ecotipo della Dalmazia sono selezionate mediante marcatori del DNA. Oppure, un gene di resistenza alla ticchiolatura del melo recuperato dalla varietà resistente “Florina” è stato trasferito mediante TEA nella popolare mela “Gala”, mantenendone così inalterate le caratteristiche organolettiche peculiari.
È bene infine ricordare come queste attività permettano allo stesso tempo di generare ulteriore diversità genetica nelle specie di interesse agrario.