Terapia genica e medicinali a base di DNA e RNA: come funzionano e cosa aspettarsi in futuro

Terapia genica e medicinali a base di DNA e RNA: come funzionano e cosa aspettarsi in futuro

Contributo di Giuseppe De Rosa (Università di Napoli Federico II) per SITELF – Società Italiana di Tecnologia e Legislazione Farmaceutica

 

L’acido desossiribonucleico o DNA è una molecola di elevato peso molecolare, presente nelle cellule di tutti gli organismi viventi, contenente tutte le informazioni necessarie per lo sviluppo fisico e comportamentale di uno specifico individuo.
L’acido ribonucleico o RNA, associato fino a qualche decennio fa alla sola funzione di “trasportatore” delle informazioni genetiche per la biosintesi di proteine (RNA messaggero o mRNA), possiede in realtà anche una funzione regolatoria e di comunicazione tra le cellule.

La ricerca scientifica ha consentito di capire che un gran numero di gravi malattie sono dovute a una o più alterazioni (mutazioni) dei geni che impediscono il normale funzionamento di alcune cellule. Da qui, la ricerca di nuove strategie terapeutiche mirate a correggere i “difetti” genetici di un individuo malato.

Quando si parla di terapia genica si intende, quindi, il trasferimento nella cellula di una copia “funzionante” del gene “difettoso”. Allo stesso modo, l’introduzione di un gene o del suo mRNA permette all’organismo di produrre una proteina estranea in grado di provocare una risposta immunitaria a scopo vaccinale.

L’evoluzione della terapia genica: il silenziamento genico e il genome editing

Il potenziale terapeutico degli acidi nucleici, però, va ben oltre la terapia genica propriamente detta e la vaccinazione: frammenti di DNA o RNA possono essere usati per regolare specifici processi fisio-patologici. Ecco perché, tra le strategie più studiate, c’è l’impiego di frammenti di DNA, oligonucleotidi antisenso o, a partire dal nuovo millennio, di frammenti di RNA, small interfering RNA (siRNA) o microRNA (miRNA) in grado controllare l’espressione di proteine specifiche.

Più recentemente, sono stati sviluppati metodi per modificare il genoma mediante un vero e proprio taglio nel DNA. Questo processo, anche definito genome editing, e si basa sull’impiego di endonucleasi in grado di riconoscere specifiche sequenze di DNA in cui effettuare il taglio del doppio filamento. Tra le tecnologie esistenti, quella denominata CRISPR/Cas9 è sicuramente la più utilizzata: prevede l’impiego di endonucleasi specifiche (Cas9) complessate con un filamento RNA guida in grado di riconoscere selettivamente il punto del DNA dove effettuare il taglio.

Delivery systems: vettori virali e non virali

L’impiego terapeutico di acidi nucleici presenta alcune problematiche che per anni ne hanno ostacolato l’uso clinico. Innanzitutto, gli acidi nucleici, una volta introdotti nel circolo ematico o in un tessuto (in seguito a somministrazione locale) sono rapidamente degradati ad opera di enzimi noti come nucleasi. Inoltre, DNA e RNA non entrano in una cellula sfruttando lo stesso meccanismo di tanti altri farmaci, noto anche come diffusione passiva. Farmaci lipofili di basso peso molecolare, infatti, anche definiti small molecules, diffondono dallo spazio extracellulare al citoplasma attraversando il doppio strato fosfolipidico della membrana cellulare; l’elevato peso molecolare ed il carattere idrofilo di DNA e RNA ne rende impossibile la diffusione all’interno della cellula e quindi il raggiungimento del sito di azione.

L’uso terapeutico degli acidi nucleici non può quindi prescindere dall’impiego di specifici sistemi per la loro somministrazione, meglio definiti come sistemi di veicolazione o delivery systems. Un sistema di veicolazione ideale dovrebbe essere in grado di proteggere l’acido nucleico in ambiente biologico, consentire il raggiungimento del tessuto o delle cellule bersaglio, promuovere l’ingresso nella cellula rilasciando l’acido nucleico nel sito (nucleo o citoplasma) di azione. Il sistema di veicolazione dovrà inoltre essere sicuro, facile da produrre su larga scala, adatto ad acidi nucleici di dimensioni diverse, in grado di assicurare un effetto di lunga durata, funzionare su cellule diverse indipendentemente dallo loro stadio di crescita (quiescenti o in proliferazione). Tali sistemi possono essere suddivisi in due grandi famiglie: vettori virali e vettori non virali.

I vettori virali sono virus modificati (non patogeni e incapaci di replicarsi), in cui viene inserito il gene di interesse con gli elementi regolatori che ne consentono l’espressione. Tra i vettori virali più comuni utilizzati a tale scopo i retrovirus, i lentivirus e, soprattutto, gli adenovirus e i virus adenoassociati. Gli ultimi due tipi di virus sono sicuramente quelli più usati per applicazioni in vivo, grazie alla capacità di ospitare filamenti di DNA di maggiori dimensioni. Sono inoltre in grado di infettare cellule trasferendo elevate quantità di materiale genetico (transfezione) con un buon profilo di sicurezza.

Se da un lato i vettori virali hanno sempre assicurato una elevata efficienza di transfezione nelle cellule bersaglio, dall’altro hanno sempre rappresentato l’approccio più complesso, per la maggiore pericolosità dei vettori virali sia per un potenziale rischio di riattivazione del virus che di immunogenicità. Tali vettori, poi, presentano elevati costi di sviluppo e produzione su larga scala, rendendo il trattamento clinico molto costoso.

Ciò ha spinto i ricercatori a studiare strategie di veicolazione non virale. I vettori non virali più studiati sono sicuramente quelli di natura lipidica, in particolare i liposomi cationici. Essi possono legarsi agli acidi nucleici formando complessi (lipoplexes) in grado di entrare nelle cellule per endocitosi e rilasciare l’acido nucleico nel citoplasma.

Già dagli anni ’90 tale approccio è stato largamente usato per il trasferimento di materiale genico in cellule in coltura, con diversi prodotti presenti in commercio (es. Lipofectina, Lipofectamina, ecc.). Sistemi non virali di natura diversa, per esempio a base di polimeri cationici (es. polietilenimmina, poliammidoammine, ecc.) sono stati ampiamente studiati per la veicolazione di acidi nucleici con lo scopo di trovare sistemi sempre più efficienti, ma allo stesso tempo molto più sicuri ed economici dei vettori virali. Nonostante enormi sforzi della comunità scientifica, per lungo tempo i vettori non virali sono stati limitati ad applicazioni in vitro, con alcuni studi clinici che non sono però arrivati nelle fasi più avanzate di sperimentazione. L’insuccesso iniziale dei vettori non virali può dipendere da un insieme di fattori, tra cui la limitata efficienza di transfezione, l’instabilità fisica dei complessi vettore/acidi nucleici in ambiente biologico e le numerose variabili sperimentali in grado di influire sulle caratteristiche ed efficienza dei complessi.

Applicazioni cliniche dei vettori virali e sostenibilità economica

I vettori virali sono stati ritenuti per molti anni la sola strada per sviluppare nuove strategie terapeutiche a base di acidi nucleici. Sebbene nel 1999 il primo studio clinico con vettori virali per terapia genica abbia evidenziato tossicità, la ricerca scientifica ha fatto molti passi avanti per ottenere vettori virali sempre più sicuri, al punto che oggi abbiamo medicinali approvati basati su vettori virali e molti altri in fase di sperimentazione clinica.

Il primo prodotto medicinale per terapia genica è stato approvato nel 2012 in USA ed Europa, ma il ridotto numero di pazienti trattati ha comportato il suo ritiro dal commercio nel 2017.

I primi successi commerciali si sono registrati a partire dal 2016 con l’approvazione in Europa di Strimvelis, per il trattamento della immunodeficienza severa combinata da deficit di adenosina deaminasi, una patologia genetica molto rara. Il medicinale prevede un vettore retrovirale per il trattamento ex-vivo di cellule successivamente somministrate al paziente mediante infusione.

Nel 2017 è stato approvato negli USA il primo prodotto, con il nome commerciale di Luxturna, per terapia genica nel trattamento di una forma di distrofia retinica ereditaria effettuata in vivo. Il prodotto prevede una somministrazione intraoculare con conseguente aumento della funzionalità visiva dopo una singola somministrazione. A questo primo prodotto medicinale sono seguiti a stretto giro altri prodotti nel 2019 (Zolgensma) e nel 2022 (Hemgenix, Zynteglo e Skysona).

A fronte della indubbia efficacia di tali prodotti, l’impiego di vettori virali, unitamente al fatto che tali trattamenti sono quasi sempre destinati a patologie rare, ha reso il costo di tali terapie proibitivo. Giusto per dare un’idea, il costo stimato di una terapia con Luxturna negli USA è di circa 425.000 dollari per singolo occhio e di 850.000 dollari per paziente. In Italia il costo stimato per la terapia è invece di 594 mila euro. Mentre in paesi come l’Italia il costo è coperto interamente dal Sistema Sanitario Nazionale, in paesi come gli USA, tali terapie sono a carico del paziente se non coperto da compagnie assicurative.

Farmaci e vaccini a base di RNA, più sicuri ed economici

A partire dal 2001, il settore dei vettori non virali a base lipidica è stato rivoluzionato dall’introduzione di lipidi ionizzabili utilizzati nella preparazione di vettori oggi noti con il termine generico di nanoparticelle lipidiche. Tali vettori, caratterizzati da una buona efficienza di transfezione ma soprattutto da una sufficiente stabilità fisica in fluidi biologici, sono stati rapidamente saggiati prima su primati non umani e poi in studi clinici. Nel 2017 e nel 2018 il primo prodotto a base di RNA è stato approvato rispettivamente in Usa e in Europa. Tale prodotto, noto con il nome commerciale di ONPATTRO, prevede l’impiego terapeutico di un siRNA attivo nel trattamento della amiloidosi ereditaria, ma veicolato mediante nanoparticelle lipidiche. Tale prodotto, somministrato per via endovenosa, è in grado di accumularsi nelle cellule epatiche che rappresentano il vero bersaglio terapeutico.

Sulla scia di questo primo successo, ma soprattutto sulla spinta della pandemia da COVID-19, nel 2021 sono stati approvati i primi vaccini a base di mRNA veicolato mediante nanoparticelle lipidiche, noti con i nomi commerciali di ‎Comirnaty (Pfizer-BioNTech) e ‎Spikevax (Moderna). Al di là delle numerose polemiche sugli effetti dei vaccini a RNA, in gran parte prive di una base scientifica o quanto meno di una correlazione causa-effetto statisticamente significativa, le formulazioni a base di vettori di tipo non virale offrono un minor rischio di immunogenicità, maggiore sicurezza d’uso e soprattutto costi di produzione drasticamente inferiori, rispetto a quelle contenenti vettori virali. La popolarità dei vaccini a RNA ha quindi spinto tanti gruppi di ricerca e soprattutto molte aziende, ad investire su vettori lipidici non virali soprattutto grazie alle tecniche di produzione relativamente semplici ed economiche.

Il punto sulla ricerca oggi. Ecco cosa ci aspetta

Dopo la pandemia il numero di pubblicazioni in tale ambito si è moltiplicato: è aumentato il numero di scienziati impiegati nella ricerca sui medicinali a base di acidi nucleici, ma anche quello degli investitori privati e dei finanziamenti in tale ambito.

La ricerca scientifica è oggi orientata da un lato allo studio di nanoparticelle lipidiche sempre più efficaci e meno tossiche, dall’altro alla scoperta di nuove applicazioni terapeutiche per i medicinali a base di RNA.

Inoltre, alcune compagnie hanno sviluppato negli ultimi anni strumenti per facilitare la produzione di nanoparticelle lipidiche sia per uso su scala da laboratorio che su scala industriale.

In tale contesto non vi è dubbio che nei prossimi anni assisteremo alla comparsa sul mercato di nuovi medicinali a base di acidi nucleici per il trattamento di patologie finora senza una terapia efficace, tra cui molte patologie genetiche alcune forme di cancro o malattie neurodegenerative.

Sebbene i progressi della terapia genica sono stati molto lenti e graduali, dando l’idea talvolta di terapie non realizzabili a livello clinico, oggi sembra essere crollata una barriera. Certamente lo sviluppo di una terapia a base di DNA o RNA richiede l’intervento di scienziati con competenze diverse, dalla medicina alla biologia molecolare, dalla farmacologia alla tecnologia farmaceutica, che solo con una stretta collaborazione possono contribuire allo sviluppo di nuove terapie sempre più efficaci e selettive.