Contributo di Andrea Manca e Franca Deriu (Università degli Studi di Sassari) per SIF – Società Italiana di Fisiologia
Chi, come autore, ricercatore o accademico, aspira a vedere i propri lavori pubblicati nella letteratura scientifica, deve essere consapevole del problema dei giornali predatori (predatory journals). Si tratta di riviste che sfruttano in modo fraudolento il modello ad accesso aperto (open-access), motivate non dall’intenzione di contribuire al progresso delle conoscenze scientifiche, ma solo ed esclusivamente dal profitto.
Le riviste predatorie sono caratterizzate dall’assenza parziale o totale di standard etici e scientifici, con il risultato che pubblicano rapidamente articoli che sfuggono al processo di revisione tra pari (peer review), passaggio cruciale alla base del processo di valutazione critica dei risultati generati dagli studi scientifici. Un tratto distintivo dell’editoria predatoria è la sollecitazione attiva e insistente di articoli (mail bombing) a fronte del pagamento di una tassa di pubblicazione (article processing charge). Questa forte spinta lucrativa da parte delle riviste predatorie si sposa pericolosamente con le esigenze dei ricercatori che devono pubblicare tanto e rapidamente per aumentare le metriche quantitative di produzione e impatto scientifico della loro ricerca. Seppure costantemente in discussione, tali metriche (numero di articoli pubblicati, citazioni ricevute, ecc.) risultano ancora determinanti per gli avanzamenti nella carriera accademica. Il motto Publish or perish (pubblica o muori), introdotto per la prima volta dallo storico svizzero Carl Burckhardt, riflette efficacemente la pressione che questo sistema pone sulle spalle dei ricercatori, junior o senior che siano.
L’introduzione del termine Predatory journal
Il fenomeno dei predatory journals rappresenta una minaccia crescente all’integrità del mondo accademico e scientifico. Benché ancora agli albori, questo problema era presente già nel 2010, ed è stato ampiamente descritto da Jeffrey Beall, un bibliotecario esperto di comunicazione accademica ed etica pubblicativa che ha coniato il termine predatory journal ed è stato tra i più attivi nel sensibilizzare l’opinione pubblica sulla portata non solo economica ma anche educativa di questa distorsione del modello open-access genuino. Quest’ultimo prevede che gli autori coprano le spese di pubblicazione per rendere il testo degli articoli liberamente accessibile e disponibile a tutti. Se attuato con integrità, il modello open-access consente di diffondere le conoscenze scientifiche su larga scala e favorire la piena condivisione dei progressi della ricerca, senza limitazioni e barriere geografiche ed economiche. Tuttavia, lo scambio di denaro tra l’autore o la sua istituzione e l’editore del giornale ha anche aperto le porte alla creazione di una zona grigia che viene sfruttata dalle riviste fasulle che esistono esclusivamente per raccogliere soldi dagli autori, e non certamente per allargare gli orizzonti della conoscenza.
Predatory journals: nessuna definizione, nessuna difesa
Nel 2019 un panel internazionale di accademici e editori ha raggiunto una definizione che può aiutare sia gli addetti ai lavori che i gruppi d’interesse come, ad esempio, i pazienti in cerca di informazioni cliniche, a riconoscere una rivista predatoria. In base a questo consensus di esperti, le riviste e gli editori predatori sono stati definiti come “…entità che privilegiano l’interesse personale a scapito della ricerca e sono caratterizzate da informazioni false o fuorvianti, dalla deviazione dalle migliori pratiche editoriali e di pubblicazione, dalla mancanza di trasparenza e dall’uso di pratiche di sollecitazione aggressive e indiscriminate”.
Come riconoscere un potenziale predatore?
In analogia con altri settori della società, come l’economia, anche nell’ambito dell’editoria scientifica (scientific publishing) vige la legge della domanda e dell’offerta. Il problema con le riviste accademiche è che l’offerta è così ampia che diventa difficile distinguere tra le riviste che meritano attenzione e quelle che è meglio evitare. Fortunatamente, la letteratura dedicata allo studio critico del fenomeno dei predatory journals ci viene in soccorso, fornendo strumenti pratici che consentono di riconoscere un potenziale predatore evitando così di diventarne la preda. Tra questi, quelli più consolidati e informativi sulla natura del giornale sono essenzialmente tre:
– Marketing aggressivo – Una caratteristica distintiva sono le e-mail non richieste inviate agli accademici, che li esortano a presentare i loro articoli o a far parte dei loro comitati editoriali. Questo comportamento è insolito per le riviste scientifiche legittime e deve sempre destare sospetto. Altro tratto distintivo è l’adozione di nomi che suonano simili a quelli di giornali rispettabili e di lunga tradizione, riprendendo quasi completamente il titolo originale fino a una totale sovrapposizione (journal hijacking).
– Mancanza di trasparenza sulle modalità di sottomissione – Le riviste predatorie spesso non forniscono, nei rispettivi siti web, informazioni chiare sul loro comitato editoriale, sulle metriche scientifiche (fattore d’impatto della rivista; indice di Hirsch) o sui processi editoriali, incluse le procedure di peer review o i dettagli sulle spese di pubblicazione. Non è presente alcuna opzione di ritrattazione (retraction) che consenta all’autore di ritirare il manoscritto sottomesso o già pubblicato. In casi ancor più eclatanti, le riviste predatorie utilizzano nomi falsi o fuorvianti per dare l’impressione di legittimità o autorità nel settore. Tipicamente gli autori menzionati non sanno di essere stati menzionati o inclusi nei comitati editoriali (editorial boards), e quando scoprono il furto di identità (identity hijacking), non riescono a far rimuovere il loro nome, immagine, profilo e curriculum dai siti.
– Pubblicazione rapida – A differenza delle riviste scientifiche affidabili che richiedono tempi relativamente lunghi (nell’ordine dei mesi) per via del processo di peer review, le riviste predatorie accettano i manoscritti in pochi o pochissimi giorni.
Le conseguenze per le prede
L’esistenza di queste riviste ha conseguenze negative sia per i ricercatori che per la comunità scientifica nel suo complesso. Gli accademici, soprattutto i giovani ricercatori all’inizio della carriera o quelli provenienti dai paesi in via di sviluppo, possono essere fuorviati dalle pratiche ingannevoli di queste riviste. La pubblicazione su una rivista predatoria può compromettere la reputazione accademica di un ricercatore e danneggiare le sue prospettive di carriera future. Se i ricercatori si basassero su tali studi per costruire le proprie ricerche, potrebbero fondare il proprio lavoro su dati errati o conclusioni non adeguatamente verificate, provocando una reiterazione dell’errore scientifico, in particolare per quei disegni di studio che prevedono l’aggregazione dei dati, come ad esempio le meta-analisi e le revisioni sistematiche. Va inoltre considerato che le riviste predatorie hanno spesso un pubblico limitato e gli articoli rischiano di essere ignorati e di non ricevere adeguata attenzione e visibilità. Nei casi più eclatanti gli editori di riviste predatorie spariscono improvvisamente con il risultato che l’articolo sparirà dalla letteratura.
Come disinnescare la trappola dei Predatory journals?
La letteratura specializzata sul tema riporta costantemente alcune semplici norme di comportamento che sono rivolte direttamente ai ricercatori, sia junior che senior. Per esempio, diffidare degli inviti insistenti a sottomettere articoli ricevuti per e-mail: i ricercatori ricevono molti messaggi di posta elettronica che chiedono di inviare contributi a riviste, o di diventare membri del comitato editoriale o di tenere conferenze. Se si presta attenzione, si può facilmente capire che si tratta di spam. Bisogna sempre consultare il sito web della rivista e assicurarsi che gli articoli pubblicati siano di alta qualità. Si deve verificare che il processo di peer review della rivista sia chiaramente descritto e che la revisione paritaria venga effettivamente effettuata. Inoltre, si deve cercare di scoprire se il fattore di impatto dichiarato dalla rivista sia corretto. Infatti, le riviste predatorie hanno introdotto metriche fasulle dai nomi altisonanti quali “fattore di impatto universale”, “UIF” o “fattore di impatto globale”, “GIF”, o “fattore di impatto della rivista”, “JIF”.
Esistono elenchi di riviste open-access che sembrano legittime, ma non lo sono. L’indirizzo completo dell’editore deve essere disponibile. Prima di inviare il lavoro, è possibile verificare la presenza della rivista nell’elenco delle pubblicazioni ad accesso aperto (Directory of Open Access Journals, DOAJ) o nell’elenco delle case editrici accademiche open-access (Open Access Scholarly Publishers Association, OASPA). Si può verificare che la rivista alla quale si sta pensando di inviare il manoscritto sia effettivamente presente nell’elenco. Un’altra iniziativa divenuta essenziale è Think. Check. Submit (Pensa. Controlla. Sottometti), uno strumento semplice per valutare l’integrità dell’editore e verificare la qualità delle sue pratiche editoriali [6].
Infine, come suggeriva Jeffrey Beall fin dagli albori di questo fenomeno, “…usate il buon senso, come quando effettuate acquisti on line: se qualcosa sembra sospetto o spam, probabilmente lo è.”