di Barbara Illi (Istituto di Biologia e Patologia Molecolari-CNR – Roma).
Una delle critiche più feroci che sono state mosse ai vaccini contro la Covid-19 è stata la velocità con cui sono stati generati che ne avrebbe inficiato la sicurezza.
Pertanto, viene logico domandarci: i vaccini prodotti in meno di un anno sono meno sicuri?
Come scienziati, abbiamo più volte ribadito che, a fronte di una indubbia accelerazione, legata all’urgenza del momento e supportata da investimenti finanziari imponenti, i vaccini contro la Covid-19 sono sicuri perché sperimentati secondo regole molto stringenti, dettate dalle agenzie regolatorie che vigilano sui farmaci, Food & Drug Administration (FDA) e Agenzia Europea del Farmaco (EMA) in testa.
I colossi farmaceutici detentori delle licenze per produrre vaccini anti-Covid devono fronteggiare una domanda enorme – miliardi di dosi – a cui però non riescono a rispondere con un’offerta adeguata. Una soluzione è la produzione di vaccini su licenza, una strada percorsa già dalla francese Sanofi e dall’americana Merck per i vaccini BioNTech/Pfizer e Jhonson&Jhonson, rispettivamente. Per il nostro Paese, la ricognizione di Farmindustria degli stabilimenti eventualmente riconvertibili per la produzione di vaccini su licenza è un segnale importante e la recentissima notizia dell’accordo tra la italo-svizzera Adienne Pharma&Biotech e il fondo sovrano russo per la produzione del vaccino Sputnik in due stabilimenti italiani, una volta avuta l’approvazione dell’EMA, va nella stessa direzione.
Ma si aprono anche strade diverse. Il caso del vaccino AstraZeneca è emblematico. Una recente pubblicazione su The Lancet – accompagnata da valutazioni controverse – ha attestato un’efficacia di questo vaccino addirittura maggiore se questo viene inoculato a 12 settimane di distanza (81,3% contro il 67% pubblicato in precedenza con il distanziamento delle dosi a 4 settimane) sulla base solo di analisi esploratorie e non supportate da forti dati statistici.
Italia: il caso AstraZeneca e la strategia di AIFA.
Pur non essendo la valutazione dell’efficacia del vaccino a diversi intervalli di tempo tra un’inoculazione e l’altra uno degli scopi primari della sperimentazione, in pratica si è deciso di distanziare le dosi in corso d’opera e di estendere le analisi anche a questi nuovi gruppi sperimentali. Sulla base dei dati ottenuti, la Medicines and Health products Regulatory Agency (MHRA, l’agenzia regolatoria dei farmaci inglese) ha autorizzato la somministrazione del vaccino AstraZeneca ai cittadini secondo questi nuovi criteri, seguita dalla raccomandazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di distanziare le dosi del vaccino Astra Zeneca da un minimo di 4 a un massimo di 12 settimane che è stata assecondata anche in Italia dall’AIFA.
Analoghe considerazioni sono alla base dell’approvazione dello stesso vaccino nei soggetti al di sopra dei 65 anni. Le sperimentazioni cliniche del vaccino AstraZeneca hanno riguardato preminentemente persone sotto i 65 anni e poche persone con età superiore, in cui il vaccino sembra essere efficace e ben tollerato. Anche se i dati, non sono supportati da evidenze statistiche stringenti, in questi giorni l’AIFA ha approvato l’uso di questo vaccino per i soggetti al di sopra dei 65 anni. I vantaggi socio-economici di una strategia di questo tipo sono evidenti: creare uno scudo alla diffusione del virus, per quanto di durata limitata, ma sufficiente a far ripartire il Paese, mentre cresce l’approvvigionamento adeguato di dosi vaccino per vaccinare tutti.
Fare in fretta per salvare vite, ma nelle regole.
Questi esempi rendono molto bene il polso della situazione: siamo nel bel mezzo di una corsa per vaccinare più persone possibili, soprattutto per far fronte all’avanzata di nuove varianti del virus che potrebbero metterci ancora di più in ginocchio. Ecco, allora, che le agenzie regolatorie concedono l’autorizzazione alla somministrazione dei vaccini non più seguendo le regole standard, ma tenendo conto anche di altre considerazioni.
Tutto questo farebbe, forse, supporre una riscrittura dei criteri secondo cui un vaccino, come qualunque altro farmaco, possa essere approvato e avvia una riflessione necessaria, il cui fine dovrebbe essere quello di aprire un tavolo di discussione che tenga conto di situazioni inattese che richiedano azioni rapide ed efficienti da parte delle agenzie regolatorie per l’immissione in commercio dei farmaci. Tuttavia, queste non dovrebbero mettere in discussione i principi fondativi della sperimentazione clinica e di quelle regole che rappresentano i pilastri di ciò che in gergo viene definito “from the bench to the bedside”, dal bancone (del laboratorio) al letto del paziente.