di Paola Chiarugi (Società Italiana di Biochimica e Biologia Molecolare – SIB)
Sebbene il termine tumore non identifichi una specifica malattia ma una serie di patologie che colpiscono tessuti molto diversi tra loro, una caratteristica comune a tutte le patologie neoplastiche è la presenza di cellule che non dipendono più dai parametri di condivisione dell’ambiente e del tessuto dove originano, ma ne risultano largamente indipendenti. Da qui deriva uno squilibrio delle normali funzioni fisiologiche e, di conseguenza, la malattia. Queste cellule mostrano una serie di alterazioni nel controllo genetico della divisione cellulare. Tra le più comuni, l’inattivazione di geni soppressori (oncosoppressori) del tumore o l’attivazione di oncogeni.
Quali sono le differenze tra cellule cancerose e cellule sane?
Douglas Hanahan e Robert Weinberg, due eminenti ricercatori in campo oncologico, hanno identificato una lista di tratti distintivi, che differenziano le cellule normali da quelle cancerose. Queste caratteristiche includono l’indipendenza dalla stimolazione esterna per mantenere la propria crescita in modo illimitato, l’insensibilità ai segnali inibitori, come l’inibizione da contatto che mantiene la normale omeostasi tissutale, la resistenza alla morte cellulare programmata e dunque ai trattamenti farmacologici.
A queste caratteristiche intrinseche della cellula, si aggiungono anche delle variazioni sostanziali nelle relazioni con l’ambiente circostante, il cosiddetto microambiente tumorale. Infatti le cellule tumorali sviluppano una forte tendenza a promuovere la crescita di vasi sanguigni (detta neo-angiogenesi), utile per favorire l’approvvigionamento di nutrienti, nonché una capacità di educare le cellule circostanti, siano esse di tipo immune o stromali, come i linfociti e i fibroblasti, ad assumere atteggiamenti che favoriscono la capacità invasiva e di formare metastasi. Questi eventi sono determinanti per promuovere l’accesso a vie linfatiche e/o ematiche e facilitare la diffusione in tessuti distali rispetto al sito tumorale primario.
Così il metabolismo delle cellule si trasforma per favorire la progressione del tumore.
A questi tratti distintivi del tumore è stata recentemente aggiunta anche la deregolazione del metabolismo, un comportamento complesso e spesso specifico dei diversi sottotipi tumorali. La capacità di deregolare ad hoc alcune vie metaboliche nelle cellule tumorali conferisce un adattamento alle condizioni di crescita e sopravvivenza del tumore. Questi adattamenti metabolici permettono alle cellule tumorali di affrontare un ambiente molto ostile, a basso contenuto di ossigeno, altamente acido e popolato di cellule immuni, nonché di eludere i trattamenti farmacologici antineoplastici, di favorire la disseminazione metastatica e la generazione di tumori secondari e di favorire la neoangiogenesi, utile per l’apporto di nutrienti.
Uno dei primi meccanismi metabolici messi in atto dalla cellula tumorale è un efficace approvvigionamento di nutrienti, ottenuto mediante l’aumento dell’espressione dei trasportatori di membrana di glucosio ed aminoacidi, in particolare glutammina. Mentre le cellule normali utilizzano i nutrienti in stretta correlazione con la disponibilità di ossigeno e mitocondri funzionali, “respirando” i nutrienti solo in presenza di ossigeno e “fermentando” in sua assenza, le cellule tumorali sembrano svincolate da queste regole.
Quei fini mutamenti del metabolismo complici della malattia.
Il tedesco Otto Warburg conquistò un Nobel nel 1931 per aver chiarito che i tumori “scelgono” la strada fermentativa anche in presenza di ossigeno, per motivi che non egli aveva ancora del tutto compreso, risultando così apparentemente macchine metaboliche poco efficienti.
Questo atteggiamento metabolico ha preso il nome di effetto Warburg. Va infatti tenuto conto che la produzione di energia, che la cellula intrappola in una molecola da usarsi in qualsiasi transazione metabolica successiva, chiamata ATP, è molto superiore laddove il metabolismo sia di tipo respiratorio rispetto alla fermentazione. I tumori, che preferiscono strategie fermentative, ne risulterebbero dunque danneggiati in termine di energia metabolica utilizzabile.
Le ricerche degli ultimi 80 anni hanno chiarito bene che gli adattamenti metabolici dei tumori, incluso l’effetto Warburg, sono sempre largamente vantaggiosi per il tumore stesso, seppur molto meno per le cellule circostanti. La over-espressione dei trasportatori del glucosio nelle cellule tumorali garantisce loro una larga abbondanza del nutriente a discapito delle cellule adiacenti, eliminando così la problematica della minor efficienza di estrazione dell’energia e formazione di ATP.
Ma la vera specializzazione funzionale del metabolismo tumorale è la capacità di convertire questo apparente svantaggio in un vero e proprio vantaggio. La scelta fermentativa nelle cellule tumorali, associata alla grande disponibilità di molecole di glucosio, porta all’accumulo di molti intermedi di reazione della via glicolitica, che le cellule tumorali utilizzano per alimentare percorsi di biosintesi di biomolecole indispensabili per la replicazione cellulare.
Ecco, dunque, l’arte di trasformare l’handicap del rallentamento dei percorsi catabolici in una fortissima spinta proliferativa per le cellule tumorali, magicamente si ottengono grandi quantità di nuovi aminoacidi, proteine e lipidi, indispensabili per costruire nuove cellule e moltiplicare la biomassa del tumore. Questa la banale spiegazione del vantaggio proliferativo delle cellule tumorali, frutto del lavoro dei biochimici degli ultimi decenni.
Come si alimentano le cellule del tumore.
A latere del glucosio, i tumori si nutrono in modo amplificato anche di aminoacidi come glutammina, il donatore di azoto universale, o alanina ed aspartato, indispensabili per costruire basi azotate e dunque acidi nucleici. Questi nutrienti, al pari del glucosio, sono sottratti al microambiente circostante e mutazioni a carico di vari geni che regolano il metabolismo fanno sì che la cellula adoperi tali nutrienti in modo diverso rispetto ad una cellula normale.
I cambiamenti metabolici interessano dunque anche le cellule stromali ed immuni, che infiltrano il tessuto tumorale. Le cellule tumorali, attraverso la secrezione di fattori solubili chiamati ormoni o citochine, “educano” le cellule circostanti a riconvertire il loro metabolismo con finalità molto opportuniste, inducendo delle relazioni a senso unico. Tipico il caso dei fibroblasti del tessuto in cui il tumore sta crescendo, letteralmente cannibalizzati dalle cellule tumorali, costretti a fornire nutrienti di ogni tipo alle cellule tumorali, o quello delle cellule immuni, impossibilitate a svolgere il loro ruolo di guardiani e riconvertiti a cellule inermi o inefficaci da metaboliti secreti dalle cellule tumorali.
È interessante notare che le cellule tumorali possono secernere dei prodotti metabolici per loro del tutto inutili, ma che svolgono un ruolo attivo nella “educazione” delle cellule stromali o immuni. È questo il caso del lattato, o del succinato, riconosciuti da recettori di membrana nelle cellule immuni, capaci di svolgere un ruolo non convenzionale di tipo segnalatorio, regolando direttamente l’attività trascrizione a livello epigenetico e concorrendo a inibire la risposta immune nei confronti del tumore.
Le recenti ricerche che hanno portato a questi brillanti risultati, capaci di gettare una luce diversa sulle cellule tumorali, come cellule che “usano” cambiamenti ed adattamenti del metabolismo pro domo sua, hanno anche aperto nuovi e promettenti orizzonti per trattamenti farmacologici specifici per i diversi tumori. La moderna medicina di precisione infatti prevede di identificare prima le vulnerabilità metaboliche dei diversi tumori, identificando i giusti bersagli terapeutici, per usare successivamente strategie farmacologiche molto mirate per bloccare l’aggressività del tumore.