Le necessità della scienza e la miopia della politica

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di Antonio Musarò

Investire nella ricerca: se non ora, quando?

Il tempo che stiamo vivendo, la drammatica esperienza della pandemia da SARS-Cov-2, la corsa verso una cura contro il Covid-19 hanno contribuito a far emergere quanto sia strategico a livello Paese rafforzare la ricerca scientifica nelle sue varie articolazioni e metterla a servizio dei cittadini.

È un dato di fatto che in momenti critici per la salute della popolazione e di fronte a patologie gravi o incurabili, ci si aspetta che la scienza fornisca soluzioni risolutive nel minor tempo possibile. In pochi mesi il virus che ha causato la nuova pandemia è stato identificato, il suo genoma virale sequenziato e, nella strenua lotta per salvare vite umane infettate dal nuovo virus e trovare la cura risolutiva, è emerso, ancora una volta, che per sviluppare trattamenti veramente efficaci è fondamentale fare affidamento sulla conoscenza. Capire il meccanismo attraverso cui il virus infetta le cellule, capire quali sono gli organi colpiti e la sintomatologia sviluppata, capire e mettere in atto le strategie più ottimali per arrivare a terapie comprovate e sicure, sapersi fermare davanti a reazioni avverse di un potenziale farmaco e ripartire con la valutazione dei rischi è l’unico modo per vedere la luce in fondo al tunnel.

Ci si dimentica però troppo spesso che la scienza ha bisogno di risorse, di persone, di metodologie, di protocolli validati o validabili, di mezzi e di tempi, per agire sempre con efficienza, onestà intellettuale e comportamenti non pregiudizievoli.

Quanto la politica, i decisori riescono a capire tutto questo e farsi portavoce delle esigenze della scienza?

La sperimentazione animale per esempio rientra tra quei metodi e mezzi di cui la ricerca scientifica ha spesso bisogno per arrivare a terapie comprovate e sicure. Qualsiasi farmaco o sostanza d’abuso comporta una valutazione dei rischi che non è solo limitata ad un particolare tipo cellulare od organo o tessuto o apparato cresciuto in un contenitore di plastica, ma sull’intero organismo, completo cioè di tutti i tessuti, organi ed apparati che possono essere bersagli della sostanza in esame e come tali rispondere in maniera diversa l’uno dall’altro. La sicurezza, la tollerabilità dei farmaci e la riduzione al minimo degli effetti collaterali che non solo si pretendono, ma che spesso si danno per scontate, richiedono di sperimentare le terapie con animali di laboratorio.

E nonostante questo, l’Italia ha introdotto, a differenza degli altri paesi dell’Unione Europea, misure sempre più rigorose e restrittive, incorrendo in una procedura d’infrazione a livello Europeo.

È notizia incoraggiante, in questo scenario, constatare che proprio recentemente il ministro della salute Roberto Speranza e il dicastero da lui guidato hanno voluto mettere un punto chiaro su un argomento, come la sperimentazione animale, spesso oggetto di illazioni e battaglie puramente ideologiche, ma infondate dal punto di vista scientifico, ribadendo l’importanza di rimuovere i divieti e le restrizioni alla libertà di ricerca che l’Italia ha scelto di imporre ai propri ricercatori, dando loro la possibilità di uscire da una condizione di “minorità” e precarietà, nell’interesse e al servizio della salute pubblica.

Speriamo sia la volta buona!

Anche perché, la storia della medicina ci insegna quanto sia stata fondamentale la sperimentazione animale per capire le malattie e trovare i trattamenti più sicuri ed efficaci. Tanto per fare alcuni esempi, la scoperta dell’insulina è stata resa possibile grazie agli studi sui cani; quella dei virus tumorali dagli studi sui ratti; le conseguenze dell’ictus sono state evidenziate studiando i gatti e le scimmie; il ruolo della dopamina e lo sviluppo dei farmaci antipsicotici sono stati possibili grazie agli studi sui ratti e topi; il trattamento farmacologico per il Parkinson sviluppato studiando roditori e scimmie; lo sviluppo di farmaci antiepilettici è stato reso possibile grazie alla sperimentazione su topi e ratti; i trapianti di organo e lo sviluppo del primo farmaco antirigetto sono stati sperimentati nei cani; la definizione delle basi genetico-molecolari dell’ipertensione arteriosa è stata possibile grazie agli studi sul modello di ratto spontaneamente iperteso; il trattamento dell’insufficienza cardiaca e lo sviluppo di pacemaker grazie agli studi sui maiali e le scimmie; e così via fino ai moderni vaccini e alle varie terapie salvavita.

È evidente quindi che per affrontare le sfide sempre più impegnative è necessario dare alla ricerca scientifica un posto da protagonista. Nei laboratori escono le idee migliori.

Un esempio emblematico di come la ricerca scientifica possa rappresentare una grande risorsa per il progresso, non solo tecnologico, ma anche sociale e culturale del paese viene dall’esperienza dello European Research Council (ERC), un’agenzia indipendente per il finanziamento in Europa della ricerca di frontiera in tutte le discipline. L’ERC è l’unica agenzia europea che finanzia la ricerca senza che vi sia un indirizzo deciso dall’alto, dunque esclusivamente sulla base delle idee e delle domande poste dai ricercatori stessi. Al vertice dell’ERC c’è un Consiglio formato da scienziati di altissimo prestigio, allo scopo di tutelare la scienza e la ricerca di frontiera, sottraendola all’influenza di gruppi di pressione o interesse e a eccessivi vincoli burocratici. Moltissimi vincitori di progetti ERC hanno ricevuto importanti riconoscimenti, compresi sette premi Nobel.

Come ribadito da molti scienziati, la valorizzazione di una ricerca di frontiera “non indirizzata”, oltre a essere garanzia di totale autonomia scientifica, si rivela del tutto strategica, dal momento che le soluzioni ai complessi problemi della società sono a loro volta complesse e spesso emergono da direzioni del tutto inaspettate, che sfuggono a qualsiasi pianificazione centralizzata.

I politici dovrebbero quindi guardare alla ricerca e ai ricercatori come esempi vincenti per costruire vere opportunità di collaborazioni politiche.

E invece?

Invece la politica spesso non sa guardare oltre gli interessi di “bottega” e quando c’è da tagliare lo fa soprattutto in quei settori strategici che rendono il sistema paese sempre più pronto alle sfide più impegnative.

La ricerca pubblica italiana da anni agonizza per carenza di mezzi e costante fuga di intelligenze. Conosciamo quello che si perde ogni anno nel non alimentare le passioni di chi vuole studiare, capire, ricercare in ogni angolo del paese, in ogni centro di ricerca, in ogni disciplina. Inoltre, un Paese intellettualmente onesto e ispirato a princìpi di trasparente competizione deve stabilire regole chiare, efficaci e valide per tutti, non creare zone franche che godano del privilegio di ingenti risorse sottratte a qualsiasi controllo, mentre il resto del sistema collassa tra costante diminuzione delle risorse e paralisi amministrativa cui non si pone rimedio.

Per la scienza italiana, la fondazione dell’ERC ha rappresentato, quindi, un punto di riferimento e di svolta di enorme importanza. Nella cronica scarsità di finanziamenti per la ricerca del nostro Paese, in particolare per quella di base, l’ERC ha infatti reso possibile a numerosi ricercatori italiani di talento di disporre di un finanziamento internazionalmente competitivo, attribuito con criteri trasparenti, scevri da condizionamenti politici o baronali.

Ora invece sembra che anche la politica europea voglia sforbiciare quello che rappresenta un modello di eccellenza di gestione e distribuzione delle risorse, perché da una parte i politici hanno la tentazione di concentrarsi sulla potenziale risoluzione dei problemi a breve termine, dall’altra perché mancano di una visione e di un progetto a lungo termine.

Sembra che la filosofia della politica nazionale e di buona parte di quella europea sia hic et nunc, «qui ed ora».

Tuttavia, la storia insegna che concentrarsi solo sul breve termine è molto rischioso ed è frutto di una politica miope che difficilmente poi saprebbe essere pronta alle nuove sfide del futuro.

La pandemia da SARS-Cov-2 ha dimostrato quanto sia importante essere pronti a fronteggiare con competenza ed efficacia una situazione drammatica dal punto di vista sanitario, sociale, politico ed economico.

Albert Einstein scriveva che “è nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e da più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle Nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita. Senza la crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c‘è merito”.

Come ha ribadito il Prof. Jean-Pierre Bourguignon, presidente dell’ERC, non abbiamo altra scelta, per iniziare a costruire il futuro che vogliamo per l’Europa dobbiamo farlo oggi, in questo momento di crisi. Diversamente, il futuro che vogliamo non arriverà mai.

L’Italia, l’Europa per essere pronte a sfide sempre più impegnative e per costruire un futuro di benessere culturale, sanitario, sociale deve investire nella ricerca e nell’innovazione fidandosi delle sue menti migliori.

Per gentile concessione dell’autore.

Articolo pubblicato sul sito Odysseo.it